Dal timore alla possibilità, ecco perché l’AI può essere un alleato della collettività se usata con consapevolezza
Oltre la metà della popolazione mondiale teme l’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro ma educare al suo uso consapevole significa scoprirne il lato più umano
Negli ultimi mesi l’intelligenza artificiale è al centro del dibattito pubblico, tra entusiasmi e paure. E non è così difficile capire il motivo dato che, secondo un sondaggio YouGov, oltre la metà della popolazione mondiale (57%) teme che l’AI possa sostituire numerosi posti di lavoro. Un timore reale, alimentato però da una visione del lavoro che misura il suo valore in base alla fatica fisica o cognitiva ed un modello che presuppone corpi e menti efficienti e sane.
Se provassimo ad ampliare lo sguardo
Per molte persone con neuro divergenze come ADHD (disturbi da deficit di attenzione), autismo o dislessia, la cosiddetta “pagina bianca” non è una metafora ma una barriera concreta. In questi casi, l’intelligenza artificiale può diventare un supporto prezioso per aiutare ad organizzare i pensieri, superare blocchi esecutivi o correggere testi, permettendo all’idea di emergere senza l’ostacolo del processo. Lo stesso vale anche per chi convive con disabilità fisiche, ovvero il 15% della popolazione mondiale (World Health Organization), o con malattie croniche, sapere di poter utilizzare strumenti come la dettatura vocale basata su AI o i generatori di testo intelligenti permette di partecipare pienamente al mondo del lavoro. Per molte persone l'intelligenza artificiale non sostituisce ma abilita, sia nella sfera quotidiana sia in quella lavorativa.
Un’AI responsabile nasce dall’equilibrio tra innovazione e umanità
Nonostante timori e scetticismi, un punto di partenza è riconoscerne il valore. Ogni innovazione, nella storia, ha generato effetti diversi a seconda delle posizioni sociali, economiche e culturali di chi la usa, o la subisce. La sensazione di saturazione che oggi talvolta percepiamo è reale e comprensibile, soprattutto quando ci troviamo di fronte a testi e newsletter privi di argomento o a immagini modificate; tuttavia, attribuire questa valanga di contenuti all’AI significa ignorare che le macchine stanno solo amplificando una tendenza già umana. Il punto non è fermare l’avanzamento tecnologico ma imparare a usarlo in modo consapevole. L’OECD, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, infatti, sostiene che oggi manchi ancora un piano strutturato di riqualificazione in grado di accompagnare le persone nella transizione tecnologica. È qui che diventano fondamentali le realtà che scelgono un approccio sociale e costruttivo. Flowerista ne è un esempio con il suo modo di avvicinarsi all’intelligenza artificiale lavorando insieme a clienti e stakeholder per costruire una cultura dell’AI inclusiva, responsabile e realmente umana; perché, sebbene l’AI possa semplificare processi e amplificare capacità, non potrà mai replicare intuizione, empatia ed esperienza, tipici dell’essere umano.

L'AI non sostituisce ma integra
La vera sfida è comprendere che l’intelligenza artificiale non sostituisce ma integra. La “S” di ESG (Environmental, Social, Governance) riguarda proprio questo: capire cosa la tecnologia produce a livello umano e collettivo ovvero opportunità, diritti, accesso. Un’AI ben progettata può portare la diagnostica medica in aree remote o rendere più equi i processi di selezione del personale; se invece viene progettata male, essa può escludere intere categorie sociali e la differenza non sta nella tecnologia quanto nelle scelte di chi la “costruisce”. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ritiene che la tecnologia sia una leva chiave per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a condizione che sia fondata su equità, trasparenza e responsabilità. La piattaforma AI for Good, lanciata nel 2018, ne è la prova; ad oggi coinvolge oltre 50 agenzie ONU e centinaia di partner globali impegnati a usare l’AI come motore di progresso, dall’educazione alla salute, dal clima alla parità di genere.
“Non basta preoccuparsi dell’impatto ambientale o economico dell’intelligenza artificiale, dobbiamo guardare anche alle sue conseguenze sociali e dal momento che l’AI cambia il modo in cui viviamo, lavoriamo e partecipiamo alla società, l’etica non deve essere un optional, ma la base su cui costruire un’AI davvero responsabile e al servizio delle persone” ha dichiarato Anna Iorio di Flowerista.